danza

Improvvisazione, sì o no…

Sabato 22 e domenica 23 settembre scorsi ho partecipato a un laboratorio organizzato da Teatro della Tosse Associazione Arbalete e condotto da Laura Colomban.

Il laboratorio, dal suggestivo titolo di Abitare il corpo, proponeva un’introduzione al Life/Art Process, metodo ideato dalla danzatrice Anna Halprin e “sistematizzato” dalla figlia Daria.IMG_5634

Si tratta di un processo creativo che, attraverso il movimento, la danza, il disegno, il suono corporeo e la scrittura punta a favorire l’ascolto del proprio corpo e l’esplorazione delle proprie urgenze espressive, a livello fisico, emotivo e immaginativo.

Nel corso di queste due, intense e interessanti, giornate abbiamo cercato di dare risposta alle seguenti domande: “Se il mio corpo potesse parlare, oggi, ora, cosa direbbe?” e, il secondo giorno, “Se il mio respiro potesse parlare, cosa mi direbbe?”.

Ecco, tra le altre cose, il mio corpo mi ha spiegato, definitivamente, che:IMG_5458

  • NO: non ho un problema con l’improvvisazione. Il workshop è stato, essenzialmente, una lunga performance in cui ognuno di noi ha affrontato improvvisazioni sonore, danzate, pittoriche, scrittura automatica, composizione di haiku (semplici poesie, secondo la tradizione giapponese), interpretato fisicamente i disegni propri e degli altri partecipanti, interagito creando dialoghi corporei… Per concludere con una carrellata di “assolo”, in cui ciascuno ha rappresentato tutto il lavoro fatto nel corso delle due giornate. E, insomma, è una cosa che posso fare. Con una buona dose di violenza iniziale, lo ammetto, ma posso farlo: non c’è (più) niente a bloccarmi irrimediabilmente stile statua di sale.

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E, tuttavia:

  • SÌ: ho un problema con l’improvvisazione. Nel senso che, semplicemente, non mi piace. O, forse posso dirlo meglio: non è la modalità più adatta a soddisfarmi, a favorire la ricerca, l’introspezione, la scoperta. È un po’ la stessa cosa che mi succede con gli spazi molto ampi (piazze, spiagge, sale prove…): mi fanno sentire a disagio e mi danno un’idea di dispersione, mentre nei locali più raccolti ho l’impressione che l’energia sia più intensa e lo sforzo più produttivo. Allo stesso modo, per quanto paradossale possa sembrare, mi sento molto più a mio agio e libera di esprimermi quando so esattamente cosa devo fare e posso concentrarmi sull’esecuzione. Per me la ripetizione è fondamentale; ad esempio, adoro provare a oltranza e so che, quando il mio corpo ha assimilato la coreografia (o il testo, non cambia), solo allora si è creato lo spazio per inserire l’interpretazione, l’emozione, la soddisfazione. E, pure, trovo assolutamente confortevole e rilassante l’esercizio quotidiano ripetuto, per esempio quello alla sbarra: è come se fosse una forma di meditazione.

Del resto, mi pare di aver capito che questo aspetto del lavoro non sia assente nel metodo Halprin, tanto è vero che parte della prima giornata di workshop è stata dedicata a conoscere alcune sequenze di movimenti organici -focalizzati soprattutto sull’allungamento e la flessibilità della colonna vertebrale- che fanno parte di ciò che la stessa Halprin definisce Movement Ritual, nome la cui suggestione è proprio quella di una ripetizione quotidiana, “rituale” appunto, di questi movimenti.

 

In conclusione: un metodo che non conoscevo e che ho scoperto con piacere, oltre a un bellissimo gruppo di lavoro, grazie al quale è stato possibile affidarsi e sperimentare.  Va detto che Laura Colomban è stata davvero brava, grazie alla sua garbata determinazione, a farci scivolare tutti con naturalezza in ciascuna delle esperienze che ci ha proposto, anche quelle che inizialmente hanno suscitato qualche perplessità o timore.
Infine, non voglio assolutamente trascurare di dare la giusta importanza al Luzzati Lab,  la meravigliosa sala che ha ospitato il laboratorio e ha sicuramente contribuito a creare la giusta atmosfera.

Le bellissime foto sono state scattate da Martina Zappettini (l’effetto Tilt Shift, invece, l’ho aggiunto io).